lunedì 11 maggio 2009

Napolì, Napolì.


Non chiedetemi perché l’accento sulla ì, oppure sì chiedetemelo, oppure non fa niente, ve lo dico l’istesso. L’accento, come tutti saprete, è un segno diacritico – ma parla come magni!!!- che si utilizza per connotare significativamente un fonema e, di conseguenza, la parola in cui è inserito. In questo caso, per farla breve, l’accento sulla ì vuole connotare significativamente la mia esultanza per un’esperienza douce douce – come direbbero in Francia, che con Napoli ha un legame atavico – che nella sua brevità mi accompagna ancora piacevolmente, due giorni dopo. Famola breve, venerdì pomeriggio, con la mia carioletta Atos Hyundai mi sono imbarcato sull’A1 direzione Nav’ul’, per una seratina sufi (due ore anna’, due ore di sema’, due ore a torna’) che più che un derviscio rotante mi sentivo un derviscio errante. E devo dire, perché lo devo dire, che non ero proprio rilassato all’idea di attraversare Napoli con la macchina. Saranno stati i ricordi del traffico di vent’anni fa – file di macchine parcheggiate lungo la linea di mezzeria! – saranno state le migliaia di tg minacciosi visti in questi ultimi anni, sarà stato Gomorra e dintorni, però qualche pensierino ce l’avevo, avvicinandomi alla tangenziale. Bon, proprio dalla tangenziale, invece, cominciava la meraviglia. Quanto è teatrale Napoli, ho pensato, nel senso scenografico del paesaggio, soprattutto vista dalla tangenziale. Nel punto più rallentato, venerdì sera – da Corso Malta a Capodimonte, per la cronaca – potevo ammirare l’ondeggiante fondale delle colline impalazzinate, i torreggianti palazzoni del fondo valle (mi perdonino i napoletani, non conosco la toponomastica partenopea), squarci di mare azzurro, quinte di Vesuvio e cielo e luna. E poi, meraviglia delle meraviglie, scivolavo fluidamente senza interruzione nel tanto temuto traffico, come se avessi assorbito la magia del genius loci, che rende tutto più facile. L’aria era dolce – per la seconda volta sono stato tentato dal napoletanismo, ma a leggerlo scritto mi fa una brutta impressione, meglio sentirlo dire dai napoletani – e la città non sembrava né rumorosa né inquinata. Mo’, sarò stato fortunato io, avrò attraversato le zone più curate, questo può dirlo solo chi la conosce quotidianamente, comunque ero proprio felice di guidare su questi viali bordati di palme. La mia guida, il mio Virgilio, per così dire, ha poi completato l’opera di benvenuto conducendomi, una volta lasciata la macchina, a prendere quello che lui descriveva come “il più buon semifreddo di Napoli”. Ora, io non posso essere un giudice attendibile, ma quell’esperienza organolettica ha creato una discontinuità nella memoria delle mie papille gustative. Non posso dirvi il nome del negozio, ma sono sicuro di saperci ritornare, quindi…
Detto questo, lo scopo della viaggio era un incontro, Sufi, di cui mi spettava, per così dire, la conduzione. Anche qui, ho avuto la sensazione di essere stato gentilmente guidato, di aver soavemente galleggiato in un bacino movimentato assai, dalla gioiosa partecipazione di venti persone, quasi tutte sconosciute, che non hanno esitato a seguire le indicazioni talvolta balzane di questo fricchettone arrivato da Roma, con una freschezza e una totalità che mi ha toccato più di quanto non abbia dato a vedere. Una gioia, una commozione e un ossimoro di beatitudine: la leggerezza che va in profondità.
Quando mi accade di fare un’esperienza del genere io posso solo dire grazie.
E non ricordando tutti i nomi, ma solo i visi - quellì sì, tutti davvero- ringrazio Osho No Mind di Napoli e chi, con amore, lo cura.
Posso soltanto dire grazie, ripeto, ma non perché l’esperienza e chi vi ha partecipato non meritino di più.
Solo perché di più, senza complicare una cosa bella nella sua semplicità, non riesco a dire.
A parole. Spero di esserci riuscito con la presenza.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"La leggerezza che va in profondità"
:))
clap clap

fata

Confinidiversi ha detto...

Ho visitato Napoli due anni fa, 5 giorni bellissimi, per i ricordi e per la meravigliosa essenza delle persone che ho conosciuto.
La "napoletanità" di quei brevi istanti, devo dire, mi accompagna tutt'ora nella sua 'leggerezza che va in profondità'...

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